[…] IMMAGINA: PUOI. Oggi la parola che cerco è Tempo. Anzi! Sono due: Tempo e Noia. Anzi, tre! Tempo, Noia e Immaginazione. Le cerco, tra l’altro…da tempo (battutaccia degna della Baggio di quarta D).

Ho sempre pensato che bisogna un po’ perdersi per ritrovarsi e che in certi momenti precisi, sia necessario perdere tempo per guadagnare tempo. Quale momento migliore se non questo, in forzata vacanza da un’occupazione come la disoccupazione. Perdere tempo, per ritornare ad un tempo che ci dia modo di essere qualitativamente uomini e donne e bambini e ragazzi che vivono con consapevolezza la propria humanitas. Ché essa si dispiega, non secondo la legge della giungla, ma seguendo quella della societas che per dirsi tale, deve essere, appunto, basata sulla comunicazione vera, sul mettere in comune e mettere in relazione gli stessi membri. A scuola. A casa. Sul lavoro.

Quando penso alla noia, mi viene da fare un distinguo in Noia Buona e Noia Cattiva: una fa guadagnare tempo a lungo termine, l’altra lo consuma. Una è in via d’estinzione, l’altra occupa i banchi di scuola, le scrivanie d’ufficio, che è una meraviglia. E’ quella che uccide l’Immaginazione.
Altro che “immagina, puoi”, lo slogan pubblicitario…Mi sono accorto che oggi siamo quasi tutti analfabeti immaginativi.
A proposito, proprio questo pomeriggio la Baggio è in vena di confidenze su whatsap. Forse si annoia.

“Prof, posso confidarle una csa sulla nuova prof ?, mi scrive.

“Vai! Sarò muto come un pesce. Del resto sono in partenza. Non avrò alcuna occasione di vederla”, e lo dico con una certa nostalgia.

“Ahi sì? E dv va?”, si distrae curiosa.

“Bho, questo non lo so ancora”.

“Comunque la Zanon è di una noia di mortale…puntini puntini…”, confida con i suoi immancabili puntini la Baggio. Il che mi fa pensare che deve aver cambiato in un secondo tempo l’espressione di “merda” in “m…puntini puntini…” e in un terzo tempo la “m…puntini puntini” in “mortale”, dimenticandosi di cancellare la preposizione “di”.

La Zanon…E pensare che ha enormi potenzialità per essere sé stessa. Se non si nascondesse sempre. E’potenzialmente affabile e innovativa, ma non lo vuole ammettere. Ha paura.

“Cercate di capirla”, esordisco comprensivo. (In fondo stiamo parlando della Zanon, la mia Silvia,. Ma io son messo peggio di Leopardi)

“Non siete certo una classe propriamente standard, voi”, aggiungo. “Vi ho abituato male”, e scherzo con faccina che sorride, ma dico la verità.  E un po’ ne sono orgoglioso.

“Si ma lezioni noiose. Nn capiamo niente. Sono tutte uguali. Stesso tono. Stesso modo x Italiano, Storia e geografia. E ci riempie di compiti”, scrive veloce la Baggio.

Fa senz’accento”

“Csa?”

“Dico che fa non vuole l’accento…ma tu sei la Baggio. Facciamo finta che non l’ho visto”, sorrido e inserisco la faccina che ride (la Baggio è dislessica). “E poi non è che se levi le vocali e scrivi come un codice fiscale guadagni tanto tempo, eh…?”, rido di nuovo. Nuova faccina.
“…Che poi non si capisce se è perché sei disgrafica o semplicemente un’adolescente smartphone-dipendente!”, aggiungo ironico con tre faccine che ridono a crepapelle.

Ride anche la Baggio. Fila di faccine che ridono fino alle lacrime. Per lo meno ha il senso dello humor in entrata. Perché il suo senso dello humor in uscita è pessimo. Peggio di quello inglese. Peggio del mio. Ride solo lei. Ma ogni volta che ci penso oppure ogni volta che penso che la battuta non fa per niente ridere, mi viene da ridere. Quindi in un certo senso funziona. O forse entrambi siamo davvero sfigati in questo senso, per cui ci capiamo.

“Serena, a proposito di noia, ora ti devo lasciare perché sto cercando di perdere tempo. Devo annoiarmi un po’ a non far niente”

“Csa?”, faccina incredula.

“Sì, hai capito bene. Devo annoiarmi un po’ nell’ozio totale”

“Beato lei, prof. Magari ce l’avessimo noi il tempo per quel tipo di Buona Noia lì. E invece siamo pieni zeppi di roba da studiare. Me la ricordo ancora la sua Ora di Noia, sa? Che nostalgia!”.

Ecco. La Buona Noia e la Cattiva Noia. Sì, un paio di volte al mese facevamo anche l’ora di Noia. L’avevamo chiamata così. Mi è valsa anche un richiamo del Preside, per una soffiata di qualche genitore, o di qualche collega. E vaglielo tu a spiegare al preside ultrasessantenne! Montessori, Lodi, Zavalloni, Piaget, Rodari, Gentile & Co. sono morti, sepolti e spesso dimenticati. Ricordo che le prime volte era faticosissima. Nessuno era abituato. Del resto li disabituiamo fin da piccoli al tempo libero. Li oberiamo di attività strutturate sia a scuola che dopo, e piano piano perdono il senso della noia, nella quale invece si attiverebbero i neuroni, anche solo per pensare come poter impiegare il tempo stesso. E’ proprio questo il momento più creativo, quello in cui pensare a come disporre del proprio tempo. Mi viene in mente una conversazione dell’anno scorso con una collega (oserei dire un suo monologo), che ha due figli alla primaria.

“Gentile, meno male che non hai ancora figli. Io non so più come fare con i miei. Oggi i bambini sono cambiati. Sono così impegnativi! Pensa che i miei tornano a casa alle quattro del pomeriggio e se non hanno compiti da fare mi dicono che si annoiano. Meno male che quattro pomeriggi a settimana fanno nuoto e calcio, altrimenti non saprei che diavolo dargli da fare! Ci sono due o tre genitori che chiedono alle maestre di dare meno compiti, ma la stragrande maggioranza chiede invece di dargliene di più, perché altrimenti si annoiano o stanno sui giochini al computer, sui tablet e compagnia, fino al vomito. Quindi, guarda, alla fine ben vengano i compiti!”.

Non le ho nemmeno risposto. Si sarebbe offesa. Inoltre ero in quella scuola da troppo poco tempo. E sempre precario. Ma ricordo benissimo come ai miei tempi non esisteva questo problema. Giocavamo fuori anche se eravamo in città. Un campetto ce lo inventavamo anche nei tre per tre metri quadri dello spiazzo con le macchine parcheggiate, oppure uscivamo con le biciclettine sempre all’erta di auto in movimento, ma eravamo diventati scaltrissimi. E vivevo in città. E poi le figurine e il rigoroso scambio meticoloso e allargato che riduceva al minimo i nuovi acquisti e poi…e poi ce li inventavamo al momento. Era solo una trentina di anni fa. I nostri genitori non temevano la socializzazione come oggi. Non temevano la strada. Era ovvio che dovevamo stare attenti! Ci arrivavamo anche da soli! Non demandavano per forza ad attività destrutturate. Non avevano paura che ci sentissimo liberi. E ovviamente non ci affidavano alla tecnologia per tenerci buoni. Non c’era. Tanto meno ai compiti. Credo che nemmeno sapessero se e cosa ci era stato assegnato, perché era affar nostro.  Ricordo solo le lamentele per le ore passate al telefono per metterci d’accordo su cosa fare al pomeriggio, una volta più grandicelli. Ecco, tutti i “la bolletta te la decurto dalla paghetta” era uno slogan assai comune. Anche il lucchetto al telefono con il disco era prassi diffusa. Non so se era meglio così, ma so che nel complesso l’infanzia e l’adolescenza non erano un trauma, come sembra essere oggi.

Insomma, in quarta D, nella mia Ora di Noia (o di Immaginazione), i ragazzi erano liberi di fare quello che volevano, compatibilmente con il fatto che si trovavano comunque in una classe di scuola, quindi era impensabile poter uscire o saltare sui banchi. La cosa che non mi sarei mai aspettato è che quasi mai si creava baraonda. Probabilmente erano consapevoli che se ciò sarebbe successo, la conseguenza sarebbe stata semplice: avrei docuto cancellare la suddetta ora dal nostro calendario interno. Infatti, qualcuno disegnava, la Baggio, per esempio. Qualcun altro scriveva. Altri dormivano. Altri guardavano il soffitto svaccati sulle sedie: dicevano di pensare. Qualcuno tirava fuori un libro di lettura, oppure faceva i compiti per l’ora successiva, cosa che poi venne bandita come attività. Altri chiacchieravano con il compagno. Poi condividevamo il tutto e cercavamo una spiegazione al tipo di azione o non azione. Chi diceva “disegno perché mi rilasso e mi aiuta a pensare”. Chi diceva “ho chiuso gli occhi perché sono stanco morto. Stanotte ho dormito male. Però ho anche pensato a quello che vorrei fare dopo il liceo. Penso che sceglierò medicina”. Qualcun altro diceva “abbiamo chiacchierato un po’, perché non abbiamo mai tempo di farlo né qui né quando usciamo da qui”. E così via.
Insomma ne uscivano delle belle.
La Noia Cattiva è invece quella che mi racconta la Baggio. Quella che subentra quando non capisci, perché parlano troppo difficile e non segui più. Quando tutto è troppo distante e non fa parte del tuo mondo. Oppure quella in cui tutto, al contrario, è troppo scontato. Troppo ripetitivo. Uguale. Quella in cui tu sei lì passivo che devi solo ascoltare e non puoi intervenire. Quella in cui insomma qualcuno in cattedra ti riempie di nozioni che non si possono mettere in discussione, perché non c’è tempo per accogliere alcun pensiero critico o divergente che sennò il programma…Non c’è tempo, e spesso c’è il timore, di mettere le cose in discussione, per doversi magari mettere in discussione. Quando invece tutto andrebbe sempre messo in discussione. Dubitato. Persino quello che sto dicendo io adesso. Persino la mia Ora di Noia.

Sono certo che la Zanon non fa propriamente parte di questa Noia Cattiva, o per lo meno non se la confronto con la Battaglia, ma devo cercare di spiegarle che a volte è troppo distante dal mondo percepito dai ragazzi. Solo che devo farlo in modo che non si offenda.

Tempo. Noia. Immaginazione. Quali magnifiche e bistrattate parole. Forse le abbiamo perse quando abbiamo iniziato ad abusarne o ad usarle in modo abusivo. […]

nòia sostantivo femminile, probabilmente dal provenzale nojaenoja.  Senso di insoddisfazione, di tristezza, che proviene o dalla mancanza di attività e dall’ozio o dal sentirsi occupato in cosa monotona, contraria alla propria inclinazione, tale da apparire inutile e vana. Molestia, disturbo. Anticamente: dolore, pena. (Treccani)immaginazióne s. f. [dal lat. imaginatio –onis]. Particolare forma di pensiero, che non segue regole fisse né legami logici, ma si presenta come riproduzione ed elaborazione libera del contenuto di un’esperienza sensoriale, legata a un determinato stato affettivo e, spesso, orientata attorno a un tema fisso; può dar luogo a una attività di tipo sognante (come nei cosiddetti «sogni a occhi aperti»), oppure a creazioni armoniose con contenuto artistico (iartistica), o anche, con un meccanismo che si riallaccia all’intuizione, a conclusioni ricche di contenuto pratico; con definizione più generica, la facoltà di formare le immagini, di elaborarle, svilupparle e anche deformarle, presentandosi in ogni caso come potenza creatrice: averenon avere immaginazione. Anche la mente stessa, in quanto crea o rievoca o associa immagini, rispondenti o no alla realtà: è nella sua immaginazione. L’atto o l’attività dell’immaginare. La cosa stessa immaginata. (Treccani)