Li abbiamo quasi dimenticati. Eppure, loro ci sono, silenziosi, nella loro presenza. Li osservo, operosi a modo loro, tra impegni di scuola a distanza, compiti a distanza, danza a distanza, Netflix, chat con le amiche, talvolta un libro. A distanza. Non hanno mai sbuffato, non si sono mai lamentati, non hanno mai fatto domande. Non ho più nemmeno urlato loro; per correre di qua o di là, per i compiti, per la scuola, etc. Non capisco se è pura obbedienza, senso del dovere, o responsabilità. Non capisco se comprendono il momento e se ne fanno carico, o se fanno finta di niente e, per loro, tutto sommato, va bene anche così. Non capisco se sono più resilienti o più resistenti. Forse sono entrambe le cose e molto di più. Eppure, sentono e vivono quello che viviamo noi adulti. Incluse tutte le contraddizioni e tutte le inesattezze numeriche, gli scivoloni scientifici, le improvvisazioni e le imposizioni governative al limite del dittatoriale. Ma, non hanno mai fatto domande. Chissà cosa pensano veramente di tutto. Di noi. Chissà quali sono le loro paure. Perché, sono certa  vivono di pensiero proprio.  È solo che nel loro addomesticamento, ci siamo dimenticati di “addestrarli” ad esercitarlo. Ad esprimerlo. Soprattutto criticamente. Ma prima o poi i nodi vengono al pettine. Come oggi, quando qualcosa è successo. E si è rovesciato il vaso di Pandora.

Breve e intenso dialogo domestico con S. 12 anni, E. 9 anni e M. 15 anni.

S.: “Uffa, mamma, ma quando è che finisce questa cosa? Inizio ad essere un po’ stufa”

Io: “Ne hai tutte le ragioni. Aspettavo solo che lo dicessi. Sei stata molto brava. Molto resiliente”

S.: “Cosa vuol dire resiliente?”

Io: “Mhmm, applicato alla psicologia di noi umani è la capacità di affrontare in maniera positiva la propria vita dopo aver subito eventi particolarmente negativi e traumatici.

M.: “Tipo stare rinchiusi in un buco senza sole per settimane?”

Io: “Tipo…anche se ora vorrei che iniziaste anche ad essere resistenti, ché la resilienza non va sempre bene a tutti i costi, non sempre porta a risultati positivi perché è influenzata da diversi fattori, individuali, sociali e oggi abbiamo visto che non tutto quello che sta succedendo ha una logica, non tutto ha un senso, anche se vorrebbero che la credessimo tale”

S.: “Ah, tipo?”

Io: “Tipo quando ti impediscono di fare una passeggiata o attività all’aria aperta, tipo quando un paese di campagna deve seguire le medesime regole di una metropoli, tipo che non potresti nemmeno passeggiare nei boschi dietro casa o coltivarti l’orto, ammesso che ci sia chi lo fa davvero”.

M. “Ma che senso ha? Mica contagi o vieni contagiato ne bosco o nell’orto”

Io: “…”

M.: “Ecco, questo proprio non lo capisco, ci avete rotto i maroni con l’attività fisica, che fuori si costruiscono le difese immunitarie contro i virus e i batteri, eccetera eccetera e poi ci chiudono in casa pigiati tutti assieme. Magari il virus ce lo passiamo tra noi…”

Io: “E’ così, per questo hanno chiuso scuole e uffici e ristoranti, perché è nei luoghi chiusi che esso si diffonde. I dati dicono proprio che il contagio avviene principalmente in ospedali, case di cura, famiglie. E noi lo abbiamo sigillato dentro.”

M.: “Sì, ma tu che esci a fare la spesa…chi ti dice che non sei malata? La mia amica F. a Edimburgo era senza sintomi e anche sua mamma…eppure avevano il coronavirus”

Io: “Questo è il punto. Non lo possiamo sapere, perché non fanno tamponi o test a tutti”

S.: “E perché?  Allora come fanno a sapere”

Io: “Ripeto, non lo sanno, appunto, perché non li fanno”

S.: “Ma non ha senso!”

Io. “…”

M.: “Ma non lo hanno fatto nemmeno al nonno che è stato un mese in ospedale con la polmonite. E nemmeno alla nonna. E nemmeno a noi che siamo stati con loro. Tu, dentro e fuori dall’’ospedale fino a metà marzo”

Io. “Già. Ma metti che se lo facevano a tutti e scoprivano che sul numero totale la percentuale di positivi è altissima, con un’altissima percentuale di asintomatici (noi) e una piccola percentuale di sintomatici, (il nonno e la nonna), avrebbero scoperto che la pericolosità e la letalità è più bassa di quello che è. Fallo su scala totale della popolazione … manderebbe all’aria il giochino. Perché è solo sul totale che puoi fare delle statistiche, non solo sui sintomatici o sui morti”

M.: “Quindi al nonno lo avrebbero fatto se moriva?

Io: “triste a dirsi, ma credo proprio di sì”

M.: “Ma sono scemi?”

Io: “…”.

M.: “Mamma, ma se io mi ammalo, almeno adesso si sono organizzati, no? Hanno trovato delle cure? Adesso sarà meno pericoloso…”

Io: “Mi dispiace darti una brutta notizia, ma no, siamo più o meno allo stesso punto di prima, solo con qualche mascherina in più e qualche idea ben confusa di terapie. Ma sta pur certa che se chiami che hai la febbre e stai male ti rispondono di prendere ancora la Tachipirina”

M.: “Non ci credo…”

Io. “Be’, tu vedi di non ammalarti che non vogliamo testare il Sistema Sanitario di questo momento. E comunque è per quello che ci vogliono dentro. È più facile confinarlo nelle case, che ricostruire una Sanità distrutta da anni di tagli. Non è proprio tutto insensato. Caso mai ingiusto”

Inizia a insinuarsi quel dubbio latente di ingiustizia e insensatezza generale.

M.: “Scusa mamma, una cosa, ma quando ieri ci hanno fermate mentre stavamo andando dal nonno, tu hai dovuto certificare che non avevi il Coronavirus, no? Quindi hai detto una bugia. Come fai a saperlo?”

Io: “Ecco, ci sei arrivata. Ho detto una bugia. Ci fanno dichiarare il falso attraverso un obbligo, camuffato da nostro diritto, possono anche sanzionarti se non lo fai. Lo hai visto. Insomma, in qualunque modo, alla fine, tutto ricade sempre sui cittadini”

M. “Cazz…ma è assurdo. Mi sento presa per il culo dal mio Stato. Facevo meglio a restare all’estero.  Ci vorrebbe Mr Robot.  Ci vorrebbe Che Guevara. Ci vorrebbe Sherlock. Ci vorrebbe Snowden..”

E sciorina tutta la sua filmografia in un misto tra fiction e realtà.

M.: “…S’, era meglio se me ne stavo in Scozia, almeno là non c’erano tutte queste assurdità. Anche se c’è il lockdown, almeno potevo uscire al parco a camminare con Joan”

Io: “Attenta che se dici queste cose a voce alta sei complottista…”, dico con tono non proprio sarcastico. “…Tutto ciò che si allontana dal pensiero imposto, anche se ti pare sensato, è complottismo”

M.: “Ma stai scherzando? Ma sei scema?”

Io: “Giuro”

M.: “Non ci credo…C’è la libertà di parola anche in Italia”

Io: “…” e rido.

Beata innocenza.

S.: “Io, invece, voglio tornare a scuola…basta. Ora lo dico! E non avrei mai pensato di dirlo. Mi sono proprio rotta. Preferisco spararmi otto ore di scuola, con verifiche anche tutti i giorni”, interrompe la dodicenne, che ha raggiunto il limite di sopportazione silenziosa.

L’unico che non proferisce parola, come sempre, del resto, è il piccolo nerd di casa che risponde solo se interpellato.

Io: “E tu se potessi decidere, cosa preferiresti? Stare a casa e fare scuola a distanza o andare a scuola?”

E.: “Mhmm lo sai…”

Io: “credo di sì, ma dimmelo tu”

E. “Mhmm…Preferirei continuare così, fare qualche ora di scuola online, qualche compito e poi avere il tempo per le mie cose. Quindi spero di restare a casa per sempre”.

Ma E. non fa testo se non per sé stesso, perché “le cose” di E. sono creare giochi, programmi…e mantenere i rapporti con gli sviluppatori di software e applicazioni. L’altro giorno mi arriva una mail in cui mi ringraziano per tutti i feedback e le proposte di implementazione e migliorie circa un gioco…Non capisco. Poi ricordo che E. usa il mio account! Rido come una pazza. È scritta in modo ineccepibile. Il linguaggio è appropriato. La sintassi è perfetta. L’uso della grammatica idem. I contenuti, quelli non li capisco perché sono un dinosauro digitale e non so di cosa parla. Capisco solo quando accenna alla grafica. Detto questo la mail mi invita ad uno scambio più approfondito circa dettagli di miglioramento…Dall’altra parte non sanno che stanno conversando con un bambino di nove anni!! Quel bambino che se gli avessi chiesto di scrivere due righe per compito di italiano, avrebbe sbuffato fino al giorno dopo…Ca va sans dire.

E noi iniziamo ad uscire, evitando la gente, andiamo a passeggiare, a sfidare la gendarmerie, a dire bugie, per vedere i nonni, per un raggio di sole, per il nostro sistema immunitario. Insomma, per tornare a vivere. Intanto, il lavoro lo abbiamo perso e con essa ogni certezza di futuro. Non abbiamo altro da perdere se non noi stessi, e non ci teniamo proprio. Perché abbiamo più paura dei danni collaterali da Covid che del Covid stesso. Che poi si scopra che è stato creato in laboratorio od originatosi spontaneamente, ormai questo ha poca importanza. Ma è il perfetto capo espiatorio per tapparci le bocche, chiuderci le menti, dove mascherina e guanti, sono anche i simboli del distanziamento da ogni opinione divergente e da ogni azione diretta.

È La Pandemia Perfetta.  No, non è un film. Ma il finale lo conosciamo già.

E non è una happy ending.