Lo so, capita a tutte.

Incontriamo tutte qualcuno che non vediamo da tempo e che ci fa quella domanda. Proprio quella, sempre quella. Quella di cortesia, mentre invece l’occhio scivola sulla radice brizzolata dei capelli che spunta. Ma non te lo dicono.

“Ciao! Come va? Sarà un anno che non ti vedo!” 

Ed è in quel preciso momento che, come fossi in punto di morte, rivedo il fotomontaggio della mia vita di questi dodici mesi in cui valuto, decido, mi trasferisco, io, marito, figlia numero uno, figlia numero due, figlio numero tre, coniglio nano e centottanta scatoloni, il settanta per cento di libri e scarpe: miei. Smonto cose, butto cose, vendo cose, regalo cose, compro cose, vendo casa (quasi, magari non è andata in porto), compro casa, ristrutturo casa, mica tutto da sola, ma ci sono momenti in cui come mescolo io colori, nessuno mai! E l’idraulica, l’impianto elettrico, il layout, occhio al design che io sono rognosa, e allora fasso tutto mi che non sono mica stata in Veneto quindici anni per niente! Rimonta mobili, disfa scatoloni, ma non tutti, sennò dove me le metto le cose di trecento e passa metri quadri in centoquaranta? I figli sono nuovi figli, in nuove scuole, nuovi insegnanti, nuovi bidelli, nuovi compagni, nuovi pediatri, l’Asl, l’ Inps, i genitori anziani e i loro malanni, più vicini ma ancora lontani, le medicine, le visite specialistiche, i medici da pregare in ginocchio che con duecento euro in nero, però, ti ossequiano subito, e i badanti, di giorno, di notte, ho sbagliato la busta paga, riparti senza passare dal via, nuove utenze, nuove grane, o forse nuove opportunità, commercialisti che non commerciano se non la loro parcella, notai poco noti che non notano quanto sei stanca e rimetto in piedi un vecchio reddito di famiglia senza reddito, tanto per non annoiarmi o forse più per campare, ridipingo, ricostruisco, ridistribuisco, ricolloco, investo, mi svesto, che ormai fanno trenta gradi e non c’è ancora l’aria condizionata, divento la nuova locandiera digitale, i portali, le belle parole, le belle foto, la burocrazia, le tasse, l’amministrazione, i conti (no, quelli li fa mio marito!), ricorda di rispondere subito al cliente, yes sure, è vicino alla spiaggia, e c’è anche il wifi e i saponcini, il phon, la lavatrice, il microonde, sì, possiamo tenervi le valigie anche dopo il check-out e no, non facciamo servizio in camera! Non siamo un albergo. E parte a mille che non me lo aspetto, da digitale a manuale il passo è breve: check-in, check-out, siamo stati bene, tutto splendido, torneremo, evviva (ma il gatto persiano che cambia il pelo la prossima volta anche no), che il turismo, se non tiriamo troppo la corda, almeno c’è ancora. Io lavo, stiro, ramazzo, faccio i letti, disfo i letti, spolvero e pulisco il cesso da poterci fare un pic-nic, rilavo, ristiro, riramazzo, rifaccio i letti, ridisfo i letti, rispolvero, ripulisco e riapparecchio il cesso, in una sequenza metodica e ossessiva, ma i compiti, nooo, è domenica, sto lavorando, non sono lì, va’ d papà che io le espressioni me le vedi solo in faccia e oggi sono peggio di quelle sul tuo libro! Che giorno è oggi? Diamine mancano quattro giorni! Figlia numero tre, in Scozia, compleanno, accidenti, faccio, brigo, organizzo, delego, e su e giù per nuove tratte, magari passando dal Polo, un charter a poco lo trovo, diciotto ore per arrivare, due per stare, uno per tornare, coincidenza in tempo per coincidere con quelli del Minnesota, che passando per la Toscana, hanno valigie con dentro un bue a pezzi e una tenuta intera di Chianti. La polizia in aeroporto mi chiede ben due volte perché è la quarta volta che vado e torno da Edimburgo, in due settimane, ma sono al telefono: direttive online sui libri di scuola un tanto al chilo, da ritirare, fasciare (tranquilli, lo faccio appena torno), etichettare, scaricare sul pc, i quaderni a righe, a quadretti, di quarta, con margine, senza margine, da mezzo centimetro, così dice la chat delle mammine più pronta e precisa di una circolare ministeriale. La calcolatrice? Quella no. Sia mai che, poi, non usano il cervello, ah, e i colori normali, acquerellabili, le 2B, le HB, le penne cancellabili (le cancellabili nooo!), la segreteria, il nuovo libretto, le firme, le attività extracurricolari, le nuove disposizioni scuola-famiglia, la danza, classica, moderna, hip-hop (ma per il balletto ci saranno sempre prove tutti i giorni per un mese? No, perché non è mica al Bolshoi!), chitarra, robotica, tiro al piattello, inglese, no, mercoledì c’è tempo pieno, giochino d’incastri andato a puttane. Cacchio!!! L’idraulico e il suo preventivo allucinante per la nuova caldaia. Sì, si è rotta pure la lavatrice e gli australiani devono lavare i panni! Ma come! Sono appena arrivati! Eh sì, ma è un mese che viaggiano in Europa e hanno le mutande sporche. “E’ che in Italia fa troppo caldo. Della Scozia, mi piace il giochino del tempo: pioggia, vento e sole, e d’un tratto di nuovo pioggia, vento e sole e, poi, ancora, pioggia, vento e….”,” Va bene, va bene, vada pure, signora”. Ricarico il cellulare bollente in un cesso, trangugio un sandwich crispy chicken con l’avocado in mezzo, parto, arrivo e riparto in un nanosecondo.  Ma aspetta. Cosaaaa? I pidocchi no! È roba da mamma, faccio io: applico, massaggio, attendo quindici minuti infernali, pettino, tiro, urlano, sciacquo, riparto, anzi no, è ora di cena: ordino pizza per tutti, ingoio, perdo il treno. Vomito. All’ospite americano hanno rubato il portafoglio, traduco, denuncio, rassicuro. Il nonno è caduto dal letto, altro luogo, altra città, non si è rotto niente, meno male. “More toilet paper rolls, please?” Manca la carta igienica agli svedesi, corro (due rotoli in un giorno; avranno la diarrea nordica!). Suona il postino, e suona almeno quattro volte, che io non ho tempo e su Amazon, ormai, ci compro anche il pesto con le noci. Figlio numero tre cade dallo skate, si apre il mento. “Lo porto al pronto soccorso? Non lo porto? Vediamo? Aspettiamo?”, “Ma no, amore per così poco!” È che qui è il delirio di ospiti in arrivo. Si sa, dal mento, vien giù rosso e copioso, come una gallina squartata. Incerottiamo e via. Era meglio portarlo, però, o forse no. Non lo so. Non si fa mai la scelta giusta, o forse è sempre la scelta giusta anche quando è sbagliata. E anche stasera il mio romanzo piange negletto, non sono riuscita né a scrivere né a leggere, se non le istruzioni della nuova lavasciuga. E le mie storie si rincorrono, ma solo nella testa, per gli arti amputati da mille faccende, non consenziente mi faccio violenza e invece della penna prendo la scopa, che tanto ormai non riesco più nemmeno a scrivere di notte, come quando di notte dormivo e allora riuscivo a scrivere, ché quando appoggio la scopa, di notte dormo come un sasso e non scrivo più. E l’autrice senza volto colpisce ancora, e senza volto rimane. Non porto a casa un contratto decente perché è questione di marketing, di followers, di ‘mi dica quanti’, forse circa quattro o cinque, ma non saprei, quattro o cinque, cosa,….ehm, mila, solo quattro o cinque mila, mica sono la Ferragni (ma nemmeno Stephen King), non ho haters, perché non ho lovers e avanti così (ma non sanno, per esempio, che nel mio quotidiano non virtuale, ho raggiunto livelli superiori tipo una e trina con dono dell’ubiquità, e in questo la tecnologia aiuta) ed è tutto un sì, no, ma, tuttavia, ciò nonostante, perciò, tutto un apprezzamenti e diniego, che non apprezzo e diniego, straccio la carta e riprendo lo straccio. Ricomincio. Aspetto. Miglioro. Non ho fretta. C’è tempo. Non intendo morire domani, ché ho un sacco di cose da fare, e la speranza, quella, è, invece, l’ultima a morire…

E alla fine rispondo a quella domanda:

“Tutto bene, grazie. E tu come stai? …”

E penso che sia una cosa normale, che capita a tutte noi. Siamo tutte nel frullatore. Frullati e frullatori allo stesso tempo. E nostro malgrado. Anche questa è vita! Ma ce ne accorgiamo solo se, ogni tanto, ci fermiamo un attimo.

E magari sì, troviamo anche il tempo per andare dal parrucchiere.

Per noi stesse.

Stefania Contardi, 25.9.2019