SE NON QUI, PUO’ ESSERE ALTROVE…

“Dear student, siamo lieti di informarti che sei stato selezionato per accedere ad un corso prestigioso presso il nostro College of Art of  bla bla bla…perché ti è stato riconosciuto un vero talento naturale di cui la tua scuola è molto orgogliosa e bla bla bla…totalmente finanziato e bla bla bla…

No, non siamo in un’ ipotetica Scuola Fantastica e nemmeno nella Scuola Perfetta, ma semplicemente Altrove. E credetemi che altrove è anche normale.

Eppure era solo ieri che “questo acquerello poteva essere fatto meglio. Vale un sei meno”, senza altra giustificazione se non quel numero. Ma poi ci vince un concorso regionale e prof. fa la bella foto per il giornale con alunna…Era solo ieri che “questo modo di disegnare non denota precisione di tratto…e i colori…i colori non sono reali!”. Ma chissenecacafotte dei colori! (avanguardie pittoriche del passato, presente e futuro docent). Che poi, cara prof, con quel tratto ci fa il suo cavallo di battaglia, lassù, una scuola pubblica! Ma una Scuola di Altrove.

Oggi, ad Altrove, viene selezionata per un corso prestigioso, totalmente finanziato da una nota Accademia. Ma questo, ancora una volta, succede altrove. Non qui.

È un po’ che non parlo di scuola e ad essere sincera, non ne ho nemmeno voglia.  Perché quando non c’è più trippa per gatti non rimangono nemmeno più i gatti. Tuttavia, credo che sia doveroso in taluni casi. Come questo.  In cui per cercare di essere sé stessi, imparare a pensare con la propria testa, imparare ad essere critici e consapevoli delle proprie forze e dei propri limiti, per rimettersi in discussione (espressione per lo più ormai appartenente alla fantascienza ), o riscattarsi, pare devi andartene altrove. Eppure, dovrebbe essere un diritto di ogni ragazzo nel posto in cui è. Ma no, non lo è, perché nel nostro paese la meritocrazia non esiste. E forse nemmeno la si vuole più di tanto. Inutile stupirsi se, allora, i migliori se ne vanno.

È che, adesso, iniziano ad andarsene anche gli altri.

Se prima, tra i deterrenti a restare c’erano il baronaggio, il clientelismo, ora si scende di ciclo: le professioni mancate, sostituite con il ripiego dell’insegnamento. Un bel guaio ad effetto domino. Un guaio che abbassa l’età del fuggiasco. Ché di incompetenti siamo pieni zeppi. Aggiungasi il falso assistenzialismo istituzionale e non c’è più spazio né per il merito né per la vera assistenza. Resta, però (e per quello sì, si trova) spazio per le scartoffie inutili, i voti, troppo bassi, o troppo alti, il sei politico e il cinque effetto alone, le verifiche di routine e quelle di punizione per tutti, anche se ‘tutti’ erano solo in due. Restano i compiti a casa che ormai hanno stracciato gli zebedei anche quelli con quelli, come se tutto dipendesse da quello. E non si fa più sport e manco si esce con i compagni. Restano le interrogazioni quotidiane che poco ormai hanno di verifica degli apprendimenti e molto di interrogatorio, le bocciature, le rimandature, le ripetizionature a pagamento…Oppure…resta la Fuga. Ché la nostra Scuola ormai sembra più un Ente Punitivo più che di istruzione. Una galera, più che una rampa di lancio per future generazioni.

Ciò che dovrebbe fare pensare è quando la fuga non è più solo dei cosiddetti “cervelli”, ma inizia assai prima: tra normali cervelli adolescenziali. Quelli di chi inizia a farsi domande, inizia a capire che c’è molto che non va. Vorrebbe ribellarsi ma è solo. Stufo di prevaricazione, molla, e allora se ci molla è fuori. Si salva chi riesce ancora a immaginare un’alternativa. Inizia a pensa ad un Altrove. Ma non è roba da ragazzi. Non dovrebbe ancora esserlo, almeno.

Del resto in un sistema-scuola dove i parametri valutativi tendono sempre a sottolineare ciò che non si sa fare piuttosto che ciò che si sa fare, ciò che si sbaglia, piuttosto che dove e come posso migliorare, dove il successo formativo è demandato quasi esclusivamente al lavoro domestico, più che a quello prettamente curriculare, (ah, e il voto, diamine, il voto!), dove non sempre c’è un automatico riconoscimento dell’impegno, ma un mero numero e dove la furbizia sono i nuovi valori a scapito del buon senso e della cooperazione, dove si salva chi sa sgomitare di più, perché, mors tua vita mea, il cameratismo tra i banchi è morto da un pezzo, ma anche la coesione collegiale, che tanto è morta anche la cattedra e chi ci sta dietro, che tanto  tutto e tutti sono appiattiti (l’elenco e lungo e mi sono stufata. Stop). In questo allegro contesto, sento che la scelta di mia figlia, appena adolescente, è stata quella giusta. Eppure è solo, appena adolescente, di fronte a una scelta adulta: emigrare a metà anno di una delirante prima liceo che a giugno ne ha lasciati a casa tre quarti “per fare selezione” a suon di tre, quattro, di denigrazioni quotidiane, vissute talvolta sulla pelle martoriata dal nervoso o i capelli strappati a ciuffi e ben pochi riconoscimenti che stimolino anche i cosiddetti “bravi” a fare qualcosa di più o di diverso, che se fanno bene tanto è dovuto e doveroso e se fanno male sono dei decerebrati sfaticati.

“Ha fatto bene! Perché signora, qui è una gabbia di squilibrati con la laurea, per cui non posso che augurarle il meglio”. Sa, quella ragazzina ha una bella testa”, mi viene detto alla vigilia della partenza da un docente. Sorpresa, gioisco e porto a casa. Chissà se lei lo ha mai saputo. Perché questa è una di quelle cose che noi facciamo sempre: non glielo diciamo mai.

Ca va sans dire.

Qui la sua adolescenza sarebbe stata un inferno, tra isterismi demenziali docenziali , che si aggiungono a quelli adolescenziali di default. Ma ovvio, è sempre colpa dei ragazzi che non hanno ancora un metodo, che non hanno voglia di fare niente, che stanno solo sui cellulari, che non hanno interessi, perché a mettersi in discussione noialtri gli adulti, invece, non si discute!  

E così, oggi dopo meno di un anno, ogni suo successo all’estero è un insuccesso della scuola italiana. Ogni giorno trascorso in una frequenza serena è un insuccesso della scuola italiana. La gioia per ogni piccolo traguardo si accompagna alla tristezza del perché non poteva esserlo qui? Resta il fatto che scappare da un paese che nei tuoi primi 14 anni ti ha dato poco e ti ha tolto qualcosa, è sempre doloroso. È un bilancio in negativo. Perché se non sappiamo riconoscere l’unicità dei nostri ragazzi, tutti, se non sappiamo riconoscerne i talenti o le difficoltà e ci fermiamo alla dicotomia standard/bene e non standard/male, abbiamo tarpato le ali a buona parte dei nostri studenti, perché, che lo vogliate o no, loro sono tutti diversamente speciali. In modo unico. Per fortuna. Ma pare sia più facile appiattire e tirare fuori il peggio che il meglio, che, invece, è un lavoro duro, sottile, di lenta e profonda e delicata estrazione. E di dedizione.  Purtroppo, così facendo, abbiamo contribuito a quel mostro della dispersione scolastica, quando non creati danni permanenti individuali e sociali. Insomma, abbiamo fallito come sistema educativo. Abbiamo fallito come adulti. Me ne dispiaccio ma me ne faccio una ragione. Ormai sono disillusa e non credo più ci sia margine di recupero collettivo. Non pare interessi a nessuno. Nemmeno lassù tra i ministeriali di turno. Credo solo in quei singoli individui che fanno ancora buona scuola perché non saprebbero fare altro. Anche qui. E non altrove. Nonostante tutto. Con i bastoni tra le ruote e la terra che brucia intorno. Tanti da salvare una parte di generazione, non abbastanza per assicurare il successo formativo ed educativo di una generazione.

Ma il mondo è grande e non finisce tra i grigi muri della classe di scuola del circondario. Esiste sempre un Altrove dove scoprirsi un po’ più fighi di prima. O semplicemente come tutti gli adolescenti: sfigati e geniali a giorni alterni, belli e brutti a seconda dello specchio. Ma dove c’è ancora riconoscimento assicurato nella misura del meritevole. O il suo meritato contrario, ma senza dannazione. E pur con tutte le possibili pecche anche altrove, che tanto la perfezione non è di questo mondo. Ma è la rinascita che conta. E questa è già un gran bella soddisfazione. Anzi, è proprio una figata! Ti fa venire voglia di spaccare il mondo. Di fare di più. Persino lei che non è un cervello in fuga, ma un’adolescente con talenti e difetti come tante, disordinate come tante, dislessica quanto basta, dal pensiero divergente pure, ma che “potrebbe fare sempre di più”. Qui. E ora lo fa. Là.  O che “dovrebbe fare colì e colà perché si è sempre fatto così”. Qui. Per fortuna non là.E glielo vedi negli occhi: è lo sguardo che è diverso, proiettato nei sogni futuri, quello sguardo che, qui, non vedo più negli occhi di molti nostri adolescenti che, soprattutto, se lo fanno andare bene così. Sono già rassegnati a quattordici anni. Vecchi dentro. E io mi incazzo! Perché noi, adultame da quattro soldi, glielo lasciamo fare. Dimentichi dei sogni, di quello sguardo sul futuro, e ci imponiamo produttori, registi, osservatori e giudici di questo spettacolo!

Ma voi, ragazzi, non fatevi fottere! Riprendetevi ciò che è vostro, alzate lo sguardo e, se necessario, giratelo anche Altrove.