C’è un fenomeno psicologico e comportamentale pericoloso: quello di peccare di violenza perché si è subita violenza non denunciata; perpetrare nell’abuso, perché si è sofferto abuso. Meccanismi di cui spesso nemmeno ci si accorge. E poi c’è un fenomeno che credo sia tutto italiano, permeato di cultura tutta italiana: praticare il mugugno del malumore, del mal comune mezzo gaudio, come terapia di gruppo. Grandi o piccoli che siano se non ci ribelliamo agli abusi che subiamo, prima o poi rispondiamo con abusi. A casa, a scuola, sul posto di lavoro. Donne, uomini, bambini. Ognuno si porta dietro il suo bell’abuso quotidiano che diventa abuso secondo la proprietà transitiva che si applica ad ogni dinamica di gruppo. Insomma, come accade nelle (più o meno) peggiori famiglie normali, anche la nostra bell’Italia non ne è esente: papà urla a mamma, mamma urla a me, io urlo a Teddy. Realismo simbolico.

(Ma da Teddy al femminicidio il passo può essere breve).

Nel peggiore dei casi diventa assuefazione. E quindi mancato riconoscimento. Incapacità di denuncia. E inerzia. Insomma, si diventa spettatori del proprio disastroso spettacolo individuale e sociale.

Mentre scrivo, ad esempio, sono seduta su un treno IC già in ritardo di cinquanta minuti (ormai passi per i cinquanta minuti), ma a, forse, dieci gradi centigradi di temperatura interna a causa del mal funzionamento del condizionatore, visto che la temperatura esterna è analoga. Tutti soffrono in silenzio, si lamentano tra di loro, al massimo inviano qualche messaggio a casa del tipo “Porca p…il treno è di nuovo in ritardo e c’è un freddo cane”, ma nessuno, dico nessuno, che lo faccia presente al controllore quando passa per controllare i biglietti. A parte la sottoscritta. Chiedo gentilmente di regolarlo, nell’approvazione generale dei presenti che si legge dalle loro espressioni. E solerte il controllore si adopera.

Non è questione di sembrare intolleranti né particolarmente esigenti, ho semplicemente e pacatamente esercitato un mio diritto. Non tornerò a casa con l’impressione di aver subito l’ennesimo torto ed ho evitato una congestione. Non sarò intrattabile con il primo che mi verrà a tiro. Non sbraiterò ai bambini al primo intoppo. E non prenderò la pasticca per la sinusite, che in due ore di gelo avrei certamente sviluppato.

Ecco, questa piccola storia vera e assai banale è la metafora del nostro paese.

Un paese che non sa far valere il proprio diritto sul riscaldamento del treno, non si accorgerà di molti altri diritti civili negati. Più che altro, un paese che non si accorge dei propri diritti negati, non ne garantirà mai uno. Il diritto al lavoro, all’uguaglianza nelle diversità, all’istruzione, eccetera. Il diritto al buon senso. Alla libertà di pensiero. E, sì, anche alla denuncia.

Ma soprattutto un paese che ha bisogno di una figura capo per la gestione del riscaldamento di un vagone, avrà, poi, bisogno di un duce per essere governato.

Stand up for your rights…Before it’s too late!

(Stefania Contardi, 19.5.2019)