Il Centro storico di Genova è la condensazione poetica e apoteotica di una città bella e contraddittoria. Ma la sua bellezza è proprio nelle sue contraddizioni. È escatologicamente scatologica, e prima o poi il destino vuole che calpesti una merda di cane. Nei vicoli genovesi, si sta stretti. Ci si sgomita, densi, tra palazzi antichi e vicoli serrati. Le chicche architettoniche barocche o rinascimentali sgomitano ad ogni angolo, tra i panni stesi che sanno di buono. Il profumo della focaccia appena sfornata e quello del piscio umano e di cane si mescolano. La promiscuità acustica di musica, rumori e vociare più o meno indistinto, si amplifica. Il buon conoscitore i vicoli li gira evitando di fare angoli troppo stretti, perché è proprio agli angoli che i cani fanno pipì fino a massimo mezzo metro d’altezza. Gli umani no, la fanno anche a metà vicolo, senza criteri particolari e si divertono a scrivere messaggi in codice sui muri. Il silenzio notturno è rotto solo dalla flatulenza di qualcuno al piano di sotto che risuona per mezzo quartiere. Perché i vicoli sono così: fanno da cassa armonica. E la melodia di accompagnamento del traffico della città “alta” resta solo in sottofondo.

Questa era la Superba solo Ieri. Oggi è il Silenzio. O quasi. Rotto dalla sirena delle ambulanze lontane. Si vive alle finestre; tra i rumori corporali del solito vecchio del piano di sotto, la tosse cronica della nonnina dell’appartamento di fronte e le voci di quanti restano in contatto con il mondo da un cellulare. Amplificate dal silenzio e dalla paura. Cercano, dispneici, quel raggio di luce che filtra tra un palazzo e l’altro, per pochi minuti al giorno. Si vive concentrati, all’ombra di una finestra con buona pace delle misure di prevenzione. Siamo tutti così vicini che potremmo darci la mano, scambiarci il Coronavirus come le figurine panini, ad ogni starnuto. Ma c’è vento. Sempre vento, ultimamente. Nessuno sa quanti di noi possono essere untori, non c’è alcun censimento, né quanto, di tanto tossire che proviene dalle finestre malconce semi aperte, si spegnerà in solitudine.  Nei vicoli non puoi mantenere alcuna distanza di sicurezza. Se esci per andare in farmacia o a fare la spesa, speri di non incontrare nessuno che provenga da direzione contraria. Questo ci fa capire dove siamo arrivati. Gli extracomunitari, invece, girano liberi e senza mascherina, apparentemente non toccati dalle restrizioni. Perché nei vicoli non ti vede nessuno. E, se tu volessi, potresti continuare a fare la tua vita nascosta, all’ombra degli alti palazzi. Alla sera il coprifuoco è autoimposto dal contesto. Siamo soli. Non passa la polizia. O non passa abbastanza, perché io non la vedo. E qui, per certe attività, “è sempre l’ora dei pavesini”.  Oggi c’è un vento che ti porta via. Torno dalla spesa da un supermercato di tre metri quadri, in cui le misure di sicurezza litigano con quelle di prevenzione e contenimento. La polizia disperde mamma e figlioletto di pochi anni, ma in realtà stanno facendo la coda a distanza per entrare nel negozio. “Ah va bene, ma poi torni a casa”, ma non si cura della promiscuità che c’è, invece, dentro al negozio. Uno dei tanti ossimori di questo coronavirus. La cassiera ha una mascherina nera e sporca. Probabilmente la stessa da inizio quarantena. Un indubbio dispositivo di prevenzione. Io non ce l’ho perché non ne ho mai trovate. Non ce ne sono. Punto. Ho pensato di farle con le mutande, gli assorbenti, la carta forno, le coppe di reggiseno, ma poi non ho l’elastico, il filo, le graffette. Anzi, non ho nemmeno, gli assorbenti e la carta forno…  Il vicolo è un pullulare di spacciatori come se non fosse cambiato nulla. Dopo una prima settimana di timide apparizioni, adesso si rianima. La domanda sale. Un paio di ragazzotti della Genova bene contratta qualcosa a quattrocento euro. Occupano il vicolo, noncuranti della mia presenza e per passare mi stringo al muro, ma no, non c’erano le distanze di sicurezza e oltre al virus, mi respiro anche un po’ di quello che credo sia hashish. O forse marjuana?  Più avanti altre postazioni. Questa è una delle poche attività che non ha chiuso. Anzi, la forzata permanenza domestica, pare abbia dato una spintarella al mercato. Il problema è che manca il via vai della popolazione, i negozi aperti, le botteghe, a disperdere e a confondere. Oggi sei solo tu e gli spacciatori. Bene, dov’è la polizia? Perché vigila i parchi, il porto, disperde una mamma con bambino e poi li lascia soli perché non presidia le vie del centro storico? Facile prendersela con i deboli. Mi rendo conto che il momento sia tragico, difficile da gestire, ma quando manca una capillarità di interventi sul territorio già in tempi normali, ciò diventa impossibile in tempi di Coronavirus. Genova è uno di quegli esempi. Oggi è una bomba ad orologeria.

Ecco, sì, forse Genova, la salverà solo il vento.

(foto repertorio di Stefania Contardi)