In questa quarantena obbligata e dovuta, il tempo appare dilatato. A dire il vero esso è l’unica cosa sempre identica a sé stessa. Nel suo menefreghismo, ciò che cambia è solo la nostra percezione.  In questo contesto di dilatazione percepita, si dilata anche il pensiero. E scopriamo che questo è anche il momento di una nuova distribuzione delle priorità, rispetto a cose ad oggi date per scontate: un abbraccio, un ‘ti voglio bene’ inaspettato, una telefonata, un film guardato assieme sul divano, il condividere una stessa grande paura. Piccole grandi verità che si palesano sempre sulla soglia della massima incertezza. Questo è il momento di riflettere, di farsi domande socratiche, di cercare risposte. Tutte cose che, ben sappiamo, richiedono tempo. Ed ora lo abbiamo (ma mi esimo dal dire finalmente). Farsi domande non vuol dire diventare complottisti, ma attivi e consapevoli nel diritto di voler cercare di comprendere ciò che accade intorno a noi. Perché nell’immobilità forzata ciò che invece può (e deve) ancora correre è il pensiero. Pensiero che, tuttavia, oggi più che mai, pare coniugare pragmatismo e sentimentalismo, nella ridistribuzione e riorganizzazione calcolata delle azioni quotidiane e nella riscoperta degli affetti. È il momento di abbandonare le ipocrisie e i rancori. È il momento di riscoprire i figli, i vecchi genitori e il nostro ruolo profondo. E nel momento della verità si scopre anche chi era amico e chi solo si professava tale. Sono momenti di esasperazione del bene e del male, perché è il momento di fare i conti con rinunce e costrizioni, noi così abituati ad avere tutto il superfluo. Subito. È il momento di fare i conti con quanto abbiamo in tasca. Il momento in cui, per molti, ci sono solo uscite e nessuna entrata. E chi era stronzo prima, ora lo sarà con maggior convinzione. Non credo alla redenzione terrena, ma alla terrena consapevolezza e alla riorganizzazione delle priorità. E dunque è il momento della RESILIENZA nella massima tensione di un bene comune per il bene individuale. Di rimettersi in discussione. Di imparare a tendere la mano un po’ più in là o a dire anche di no. È il momento di guardare in faccia i nostri figli, spaesati di fronte al nuovo, talvolta curiosi, talvolta assenti, ma che in silenzio assorbono ogni nostra espressione di preoccupazione. È il momento di essere sinceri con loro. Rassicuranti, senza fingere. Di imparare ad accogliere insieme anche la paura, che ci rende, in fondo, umani.  È un momento che se ben sfruttato varrà più di mille corsi di pedagogia o di mille programmi scolastici. In tal contesto è proprio il momento della verità anche per la scuola. È il momento di ripensare la scuola. In cui il singolo può fare molto anche con poco. È il momento di evitare di fotocopiare modalità obsolete facendo copia e incolla di una quotidianità già vecchia e malandata. È il momento di rimetterci in discussione. Tutti. Bambini compresi. Finalmente essi potrebbero essere protagonisti del proprio apprendimento. Coinvolgiamoli in prima persona. Qui ed ora. Come genitori e come educatori. Facciamo sentire che la comunità educante esiste al di là delle mura scolastiche. Che le maestre e i maestri non iniziano e finiscono con una sfilza di compiti, audio e video caricati sulle più disparate piattaforme, ma sono veri punti di riferimento per i quali essi, gli alunni, contano più di una (talvolta esacerbante) programmazione. Chiamiamoli, invitiamoli ad agire per loro stessi. Impariamo il loro linguaggio, invece di passare sempre dal filtro genitoriale. Chiamiamoli per nome. Si sentiranno visti e ci risponderanno. È una grande occasione per loro e per noi. Abbiamo una grande opportunità di risveglio collettivo. Facilitati dal fare di necessità virtù, abbandoniamo il credo del si è sempre fatto così, per imparare quei nuovi linguaggi tanto ostacolati e ridare agli strumenti il loro scopo, nell’attesa di potersi nuovamente guardare negli occhi e scoprire quanto saremo cambiati. In meglio. Ma se non lo faremo sarà ancora una volta solo un’opportunità persa per crescere come individui e come comunità.