[…] Un passo indietro.

Due settimane fa ricevetti una mail. Era prima di partire.

“Se le è possibile, ci invii pure la gioia in formato pdf”. Seguono tutti i dettagli di invio. Il mittente era un ufficio di collocamento interinale.

Mai fidarsi solo del Ministero dell’Istruzione. Sempre meglio darsi da fare anche altrove. In fondo credo di poter fare anche altro, oltre ad insegnare. Ma mentre lo penso non ne sono sicuro.

Strano, mi dico, non li sento ormai da mesi. E strana, molto strana la richiesta. Forse hanno sbagliato destinatario, penso. Ci rimugino mezza giornata, poi decido di attivarmi senza farmi troppe domande, in fondo un lavoro mi serve. Ma no, non so proprio come fare. Inizio a cercare la gioia un po’ dappertutto: nei miei cassetti pieni di cianfrusaglie arraffate, tra le t-shirt non stirate del bucato, nella dispensa, nei faldoni delle ricevute, in quello dei pagamenti delle tasse, in quello della banca dove il conto è quasi sempre in rosso. Ma niente. Tento persino tra le pagine del quotidiano. No, non si intravede la Gioia nemmeno a pagarla. I titoli sono del tipo: “Bombe amiche su una scuola in Siria. Cinquanta morti, per lo più bambini”, “Attacco terroristico: ISIS rivendica”, “Sale la disoccupazione”, “Scende il numero di donne in età fertile”, “Pensionato muore di fame. Viene trovato in casa in stato di mummificazione dopo due anni”, “La gelosia che ammazza: ennesimo femminicidio”. E amenità del genere.

No, nessuna gioia. Penso, allora, di rivolgermi al Cercatore di Meraviglie che so custodisce cose e parole perdute e dimenticate. Io la gioia non la trovo proprio. Non è facile nemmeno trovare il Cercatore di Meraviglie, né vi posso dire come ho fatto perché è un segreto, ché lui non vuole essere cercato, ma trovato. Ma lo trovo perché ha capito che ne ho bisogno. Insomma, mi ascolta e poi si mette a frugare nella sua sacca di juta, ma niente. Allora la rovescia. Cadono a terra un po’ di Amorevolezza qualche briciola di Empatia e un po’ di Meraviglia al naturale che luccica. Niente gioia pura.

“Forse possiamo tentare di fare qualcosa con queste, ma non assicuro niente”, mi dice, dandomi una manciata di ognuna.

Guardo le briciole di Amorevolezza e di Empatia e non so bene cosa farmene ma non faccio in tempo a chiederglielo. E’ già sparito. Il Cercatore di Meraviglie non guarda la Tv, non legge i giornali e non è avvezzo alla tecnologia. Lui vive inosservato, osservando la gente. Nessuno sa nemmeno dove abita.

Appeso a quella labile speranza, mi incammino a passo lento, pensando a dove poter cercare e, soprattutto, a cosa farmene di quel po’ di tutto che mi ha lasciato tra le mani e che ho riposto alla rinfusa nella borsa della spesa tra gli yogurt e il sedano. Passo davanti alle Poste e poi lungo la cancellata delle Scuole Elementari dove i bambini stanno facendo l’intervallo: chi addenta un panino, chi una mela, alcuni giocano a rincorrersi e schiamazzano, come tutti i bambini. Poi lo sguardo si ferma su una bambina con due trecce nere come la pece, che sta seduta sola soletta sul muretto di recinzione. Mi accorgo che mi fissa con uno sguardo intenso ma neutro. La saluto con la mano e lei ricambia ma senza cambiare minimamente espressione. Nel frattempo i compagni sventolavano bigliettini colorati che dai palloncini vistosi deve essere un invito a un compleanno. E’ evidente che siano i suoi compagni perché ogni tanto qualcuno butta un’occhiata alla compagna con le trecce. Ma non la invitano a giocare.

“Non vai a giocare con i tuoi compagni?”, le chiedo. Ma non mi giunge risposta.

“Non ti stanno simpatici?”, ma ancora nessuna risposta.

In quel frangente si avvicina la maestra, con sguardo inquisitore. Di questi tempi la diffidenza verso l’umana specie ha raggiunto livelli inimmaginabili. Purtuttavia, è facile immaginare perché. La rassicuro e le spiego della nostra conversazione, o per meglio dire del mio monologo.

“Guardi, la bambina non parla mai con nessuno, men che meno quando la si interpella”, mi risponde la maestra.

“Ci dicono che soffre di mutismo selettivo. Allora noi la lasciamo in pace. A lei piace così”, aggiunge la maestra bionda che ha due fari azzurri al posto degli occhi e sì e no ventiquattro, venticinque anni.

“Ma la festa? perché lei non ha l’invito?”, chiedo bisbigliando per non farmi sentire dalla bambina, che però secondo me ha sentito benissimo.

“Perché tanto non ci va mai alle feste, e allora i compagni non la invitano più”.

A questo, la bambina fa una smorfia come a dissentire. La guardo. E lei si ricompone subito nell’espressione neutra di prima che non tradisce alcuna emozione. Mi dispiace vederla così. Non mi convince. Caccio la mano nella borsa in cerca di qualcosa da regalarle. Ma escludendo il sedano e lo yogurt, vado alla cieca ricerca di una manciata di Amorevolezza o di Empatia che devono essere lì sotto sparse e forse ormai mescolate tra loro, ma mi ritrovo tra le mani un biglietto mezzo spiegazzato. Un invito? Quell’ invito! Cosa ci fa l’invito alla festa del compagno di questa bambina nella mia borsa?

“Hei ragazzino! E’ tuo il compleanno?”, faccio sventolando l’invito e cercando l’attenzione di un ragazzino biondo con i capelli a spazzola.

“Sì, perché?”.

“Perché credo che ti sia volato via questo mentre stavi distribuendo gli inviti. Stavi per darlo alla tua compagna di classe, vero?”.

“Veramente…”, fa lui imbarazzato. “…Non credo che lei voglia venire…Non la invita mai nessuno”.

“Allora invitala tu”.

“Ma la mamma dice…”.

“Tu provaci, alle volte noi adulti ci sbagliamo. Pensiamo sempre di sapere cosa vogliono i bambini. Per esempio, se lei accettasse, a te farebbe piacere? Rispondimi sinceramente”.

“Certo! Ma non verrà…”.

“Come fai a sapere che non verrà se prima non la inviti. Anche se non è di molte parole, vedrai che ti farà capire se vuole o non vuole venire”.

“Ha ragione signore!”.

“Tieni, Gioia” dice, cercando il viso della bambina ora timidamente abbassato.

“Gioia…”, bel nome penso.

Il passaggio del biglietto dalla mano del bambino alla mano della bambina è la cosa più bella che non mi capita di vedere ormai da tempo. Sembra una moviola: con la mano destra, il bambino con i capelli biondi a spazzola, prende la mano destra di Gioia, stretta in un pugno serrato, la ruota di trecentosessanta gradi e l’apre delicatamente, senza che le opponga resistenza, quindi vi sistema il bigliettino colorato piegato in due.

“Non devi dirmelo adesso, ma spero tanto che tu venga al mio compleanno”, aggiunge cercandole gli occhi. E così dicendo, le richiude delicatamente la mano.

Gioia, apre la mano, legge e rigira il biglietto due o tre volte, poi alza lo sguardo verso il bambino, spalanca gli occhi che brillano come due cristalli di quarzo nero, le sopracciglia si arcuano come due arcobaleni sospesi e due buchi equidistanti dalla bocca vanno a definire due fossette sulle guance che forse nessuno aveva mai visto. E Gioia si apre in un sorriso che non saprei come descrivere…ma è decisamente un sorriso di immensa…Gioia!

“Gioia?…Eccola!”, mi viene da esclamare a voce alta.

Allora fotografo con la mente quel sorriso e una volta a casa lo trascrivo sulla pagina. Premo “invia”.

Qualche giorno dopo mi arriva una mail di risposta dall’ufficio di lavoro interinale:

La ringraziamo per la sua solerte risposta e ci rincresce del disguido. La copia (non la “gioia”) in pdf che le chiedevamo, si riferiva al suo curriculum vitae aggiornato, ma l’ufficio ha molto apprezzato il suo allegato. È stato un errore di battitura e ce ne scusiamo ancora, ma è un errore di battitura che dovremmo commettere più spesso. Le diremo di più, il file è stato inoltrato alla direzione e la direzione lo ha inoltrato alla direzione generale, che lo ha inoltrato ai giornali. Domani le testate quotidiane pulluleranno di Gioia. La Gioia esiste ed è contagiosa! Vedrà! Spero che tutto ciò non le dispiaccia. Non viene comunque menzionato il suo nome, a meno che non ci dia l’autorizzazione.

Inoltre, le abbiamo procurato anche un colloquio con una casa editrice che pubblica libri per ragazzi. Bisogna iniziare fin da tenera età a conoscere cos’è Gioia per capire cosa Gioia Non è.

Siamo certi che farà un buon lavoro.

Cordiali saluti…e buona Gioia per tutto.

Faccio l’accesso a un paio di social. Persino i social parlavano di Gioia. E la storia di Gioa diventa virale. Inutile dire che ciò mi procura Gioia immensa, tanto per essere ridondanti.

Ma mi sveglio. Peccato. Almeno non era un incubo.

Finalmente capisco cosa voglio fare da grande. Voglio fare lo scrittore. Magari lo scrittore-insegnante.  In fondo, anche questo è un lavoro, e anche quando mal remunerato, ripaga sempre, esattamente come fare l’insegnante.

Accidenti, mi sono dimenticato di rispondere all’annuncio di un istituto privato. E devo informarmi bene anche per il nuovo concorso. E le graduatorie. C’è una gran confusione. Ma adesso non voglio pensarci. Ci penserò quando torno dal mio viaggio verso dove non so.

 

Gioia. Nome femminile. dal francese joie, che è dal lainot. gaudĭa, neutro pl. di gaudĭum ‘gioia’.

Sentimento di piena e viva soddisfazione dell’animo; allegria, letizia, felicità. Persona, fatto o cosa che è causa di felicità, fonte di soddisfazione (Garzanti).

 

Empatia. dal greco: en dentro pathos sentimento.
Comunione affettiva attraverso un processo di immedesimazione; in psicologia, capacità di comprendere i sentimenti e i pensieri altrui
All’origine l’empatia era il legame di partecipazione emotiva che univa l’aedo col suo pubblico. Da questa meravigliosa denotazione è sgorgato un significato più ampio, di portata immensa, cifra di ogni buon rapporto, di ogni relazione fertile. Dote umana che, come ogni sensibilità, va esercitata meticolosamente, a fronte di un enorme lavoro su se stessi e che permette una comprensione superiore dell’altro e quindi un riassorbimento naturale di ogni conflitto, di ogni negatività relazionale, e che amplifica quasi sonoramente ogni gioia ed ogni positività. (unaparolaalgiorno.it)

 

Amorevolezza L’essere amorevole; atto amorevole, manifestazione di affetto (Garzanti).